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Comunicati RCCT

La Maratona come Metafora della vita nel libro di Alan Sillitoe

23 marzo 2020

Torino – Parlare del racconto “La Solitudine del Maratoneta” come dell’unica opera di rilievo di Alan Sillitoe sarebbe ingeneroso nei confronti di un autore che é stato uno dei maestri nel raccontare l’Inghilterra del dopoguerra, concentrandosi in particolare sulle condizioni della classe operaia, da cui l’autore stesso proveniva. Nel breve racconto, edito per la prima volta nel 1959, é tuttavia possibile identificare le tematiche portanti di tutta l’opera di Sillitoe. Abbiamo un ragazzo di strada, Smith, che già da piccolo intraprende la strada del crimine e un direttore del riformatorio che sembra sinceramente interessato ad una riabilitazione del ragazzo, che può passare attraverso lo sport, con una maratona fra ragazzi di diversi istituti che sembra fornirgli l’occasione adatta.

Nel corso del racconto, tuttavia, il ragazzo ha modo di analizzare la propria vita, giungendo alla conclusione di essere un ribelle di natura e che non ha senso, per lui, uniformarsi alle regole di una gara in cui a prevalere non saranno davvero i ragazzi, ma l’istituto vincitore. Si arriva, dunque, al clamoroso finale del racconto, paradigmatico dello stile di Sillitoe.

“La Solitudine del Maratoneta” e gli altri racconti di questa raccolta strizzano l’occhio al Neorealismo cinematografico italiano, ma anche alle novelle di Verga. Nell’opera di Sillitoe non c’é spazio per alcuna denuncia sociale diretta, ma solo per una narrazione diretta e fredda di una realtà che, agli occhi del lettore, diviene quasi immutabile. Sillitoe, socialista convinto in questa fase della sua produzione, rinuncia anche ad ogni tipo di giudizio morale nei confronti dei propri personaggi, che sono costretti a vivere spesso in situazioni di povertà, a tratti borderline, che li spingono a doversi uniformare ad un modo di vivere diverso da quello dei borghesi e degli “uomini in giacca e cravatta”.

É dunque possibile, sia pure in maniera forzata, tracciare un parallelo fra gli uomini del dopoguerra raccontati da Sillitoe e da autori come John Osborne (pensiamo all’opera teatrale Look Back in Anger) e la generazione di ragazzi persi nella droga che Irvine Welsh tratteggia magistralmente nel romanzo “Trainspotting”. Non dobbiamo, tuttavia, farci trarre in inganno: Sillitoe crede, almeno in parte, nelle possibilità di riscatto dei giovani inglesi dell’epoca e la stessa maratona diviene simbolo dello sport come occasione di riscatto sociale e via d’uscita da un mondo difficile, ma questo potrà avvenire solo nel momento in cui la gara (e, dunque, la vita stessa) siano purificati da tutti quegli elementi che la rendono meno pura e esposta a macchinazioni esterne. Donato D’Auria